In memoria di MARIA LETIZIA PERRI
Ho conosciuto Maria Letizia Perri (d’ora in poi semplicemente Letizia) nel lontano 1981, quando entrai per la prima volta nell’Istituto di Filosofia in via Crescimbeni 14. Tra i suoi primi docenti vi era stato Vincenzo Prestipino, con il quale Letizia si era laureata. Il suo aspetto colpiva per la profonda intensità dello sguardo che veniva dai suoi occhi di un azzurro-verde splendente, con una punta di sorriso da cui traspariva un’attenzione sincera che però non dava niente per scontato. Se dovessi dare una definizione appropriata del suo atteggiamento, direi che era quello di una dolcezza critica. Dolcezza per la disponibilità ad ascoltare senza prevenzioni, critica per l’esigenza di chiedere sempre i motivi dell’affermare e del negare. Collaborò con me, inizialmente alla cattedra di Filosofia della storia e dopo di Filosofia morale, insieme con Daniela Verducci.
Tra i pensatori della sua formazione c’era Karl Jaspers, che corrispondeva bene sia all’apertura al senso dell’infinito che l’ha sempre animata sia alla consapevolezza problematica dei limiti e delle prospettive in cui esso si può dare. Si può aggiungere che Letizia ha sempre coltivato l’idea di una filosofia capace di tradursi nella prassi, elaborando un modello di pensiero in grado di decifrare le difficoltà individuali e di leggere le contraddizioni sociali, per indicare vie di risoluzione personale e linee di emancipazione collettiva. In questa cornice si colloca la riflessione sul paradigma diagnostico-terapeutico offerto dalla teoria dell’agire comunicativo di Habermas, sfociato nel volume Il mutamento di paradigma e la patologia sociale in Jürgen Habermas (Transeuropa, Ancona 1994).
Di qui il passo ulteriore al ripensamento dello spazio dell’umano nelle istanze di compimento che germogliano nella modernità e ne trascendono però l’orizzonte. Su questa dialettica che investe la figura della soggettività si concentra L’uomo per l’umano. Ripensare il soggetto oltre la modernità (Transeuropa, Ancona 2002). Nello stesso anno vide la luce un saggio dedicato a Karl Jaspers interprete di Friedrich Nietzsche, nell’ambito di una reinterpretazione innovativa del filosofo di Röcken secondo la “misura”, che coinvolse parecchi esponenti della équipe filosofica maceratese impegnandoli in Convegni triennali di respiro nazionale e internazionale. Assunto l’insegnamento di Filosofia della storia, Letizia inaugurò a sua volta un originale filone di ricerca in ambito antropologico, a partire dalla sottolineatura dell’importanza dell’esperienza del “tatto”, la cui rilevanza sembrava in effetti rimasta in ombra, mentre attualmente numerosi sono gli studi che la mettono in primo piano anche nel campo biologico. I risultati di un Convegno interdisciplinare organizzato in proposito e molto partecipato (da Giovanni Ferretti a Franco Biasutti, Andrea Tagliapietra, Carla Danani, Donatella Pagliacci e altri, compreso chi scrive) confluirono nel volume Il pudore tra verità e pratica (Roma, Carocci 2005), che Letizia curò e introdusse, segnalando la pregnanza di quella che chiamò la “filosofia delle cose dell´uomo” in quanto terra di mezzo tra essere e agire, tra visibile e invisibile, tra parte e intero, dove il pudore “investe la relazione umana con la verità e con le pratiche di esperienza di quanti abitano il mondo, il tempo, la storia”.
Nel 2007 curò con me un numero della “Rivista di Studi Utopici” sul tema “Opera e operare per l’utopia” e vi pubblicò il saggio La questione dell’opera e dell’operare: il peso specifico di un’utopia. Anche in questo caso l’impresa raccolse contributi ad ampio raggio, tra cui quelli di giovani emergenti, come Andrea Antonelli, Benedetta Giovanola e Antonella Giuli. Del resto lo stile partecipativo di Letizia si espresse anche nella collaborazione seminariale al dottorato Philosophy and Theory of Human Sciences (diretto da Luigi Alici) sul tema delle “relazioni”. Era stata anche chiamata alla vice-direzione del Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze Umane, in via Garibaldi 20, da Maurizio Migliori. Dall’accentuazione dell’opera e dell’operare scaturì il suo insegnamento sulle “pratiche filosofiche”. La vocazione alla declinazione pratica della riflessione filosofica la spinse ad andare oltra la cerchia dell’Accademia. Acquisì pertanto le competenze inerenti alla pratica del counseling filosofico, frequentando esponenti illustri della Università di Napoli tra cui Aldo Masullo, e vi si dedicò completamente rinunciando all’insegnamento universitario.
Non rinunciò però sia a impegni di natura pubblica (per esempio nell’Istituto storico della resistenza e dell’età contemporanea “Mario Morbiducci” e nell’Associazione nazionale partigiani italiani) sia a presenze culturali con attività di conferenza. Soprattutto trovò uno sbocco inedito nell’esercizio della scrittura, intesa come specchio della vita e luogo di impegno esistenziale. Nel libro affascinante di schietto taglio femminile pubblicato insieme con Matilde Morrone Mozzi con il titolo Il segreto di Augusta. Voci e riflessi (Zefiro Edizioni, Fermo 2022) ha riversato la calda corrente anche sentimentale e affettiva che l’ha sempre pervasa.
Siamo grati a Letizia per tutto quello che ha dato a noi e per tutto quello che ci ha consentito di dare a lei, in una bella reciprocità che merita di permanere.