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Mario DE CARO, Realtà

Dopo decenni segnati dalla cosiddetta “svolta linguistica”, che in varie modalità ha in qualche modo messo in crisi il concetto di realtà oggettiva, si sta sempre di più riaffermando l’esigenza di riprendere tale riflessione. La realtà è così tornata ad occupare il pensiero filosofico contemporaneo «come il fantasma del Commendatore – che nell’ultimo atto del Don Giovanni fa la sua inesorabile ricomparsa, a rammentare verità che non si possono obliare – » (p. 13).

L’ultimo volume di Mario De Caro si inserisce nel filone del cosiddetto “nuovo realismo”, una recente corrente di pensiero che ripropone la validità di un approccio realistico alla conoscenza e che ha avuto il suo esordio nel 2012 con due volumi: M. Ferraris, Manifesto del nuovo realismo, Laterza, Roma 2012, e M. De Caro, M. Ferraris (a cura di), Bentornata realtà. Il nuovo realismo in discussione, Einaudi, Torino 2012. Su questa scia, il testo in oggetto ha il merito non solo di approfondire e sviluppare aspetti fondamentali di tale orientamento, ma anche di ricostruire, in modo chiaro e accessibile anche ad un lettore non esperto, la parabola del realismo: dalla sua messa in crisi fino alla sua riproposizione nelle forme più diverse, le quali vengono distinte dall’Autore secondo due famiglie principali: il realismo ontologico, che afferma la credenza che determinati tipi di cose (come entità concrete o astratte, proprietà, processi, ecc.) abbiano una reale esistenza, e il realismo epistemologico, secondo cui esistono fatti ed eventi che eccedono la possibilità stessa di spiegarli e di conoscerli, e che quindi afferma fortemente il limite e la non definitività delle nostre elaborazioni epistemiche.

In questo saggio viene trattata la prima specie di realismo, quello ontologico, al quale si oppone una serie diversificata di posizioni antirealiste, quali lo scetticismo, il relativismo, il nominalismo, il fenomenismo, lo strumentalismo, nonché alcune versioni dell’empirismo e del positivismo. Oltre a rendere conto di questo conflitto, per così dire “esterno”, tra realisti e anti-realisti, il volume non trascura di affrontare nel dettaglio anche lo scontro “interno” al realismo ontologico stesso, che manifesta diverse declinazioni. Quelle oggi più diffuse sono il realismo ordinario, che attribuisce realtà solo alle cose di cui è possibile avere esperienza diretta (con i sensi o con l’introspezione) e indiretta (con strumenti che estendono le capacità sensibili, come microscopi e telescopi), e il realismo scientifico, per il quale sono reali solo quelle entità e quei fatti, osservabili e inosservabili, che le scienze naturali possono descrivere e spiegare.

Si tratta di due forme di realismo ontologico che – sostiene l’Autore – si sono poste in contrapposizione, in quanto ognuna di esse ha sviluppato la pretesa di possedere un accesso privilegiato alla realtà. È la visione scientifica, soprattutto, che, in età moderna, ha acquisito «il monopolio dell’ontologia», ponendosi, secondo il motto di protagoriana memoria riformulato da Sellars, come «misura di tutte le cose, di ciò che è in quanto è e di ciò che non è in quanto non è» (p. 40). Questa seconda posizione è stata poi ulteriormente radicalizzata da Quine che l’ha inglobata nella più ampia concezione del “naturalismo radicale o scientifico”: la tesi ontologica alla base del realismo scientifico viene connessa alla tesi epistemologica secondo cui le scienze sono le nostre uniche fonti di conoscenza legittime (con conseguente svalutazione di altre forme conoscitive, come la percezione o l’intuizione) e alla tesi meta-filosofica, per cui la filosofia è, e deve essere, in continuità con la scienza per contenuti, metodi e scopi (il che riconduce la filosofia al rango di una scienza naturale non ancora del tutto sviluppata).

Ad una dettagliata ricostruzione delle sfumature delle due principali forme di realismo e dei loro contrasti, segue una puntuale analisi dei limiti di ognuna delle due visioni, che vengono adeguatamente discussi (pp. 52-68). Vi è, in particolare, un limite di fondo che accomuna entrambe: «nonostante le loro profonde differenze, e la vicendevole delegittimazione, queste condividono due idee-forza: che noi disponiamo di un’unica chiave di accesso epistemico alla realtà […] e che la realtà non eccede ciò che in linea di principio può essere individuato mediante quell’unica chiave di accesso» (p. 69). Che queste basi comuni ad entrambe le forme di realismo siano del tutto inadeguate è dimostrato dalle innumerevoli difficoltà a cui esse vanno incontro tanto sul piano pratico quanto su quello teorico. Da qui l’esigenza di approdare ad una nuova forma di realismo, “il realismo liberalizzato”, che muovendo dalla costatazione dell’infinita varietà della realtà, nonché della sua eccedenza rispetto ai nostri schemi conoscitivi, afferma la possibilità e la necessità di disporre di molteplici e diverse chiavi di accesso ad essa, ossia di diverse metodologie (anche irriducibili ai metodi delle scienze naturali), a patto, però, che esse siano compatibili con la visione scientifica del mondo (ad esempio, l’analisi concettuale, l’indagine metodologica e il metodo trascendentale sono accettati, mentre l’intuizione mistica non può essere accettata a questo livello). Tale posizione rifiuta, quindi, ogni unilateralismo e dogmatismo, senza però “sdoganare” qualsiasi tipo di conoscenza (o pseudo-conoscenza). A conferma di questo rifiuto di ogni presa di posizione dogmatica, De Caro non manca di testare la tenuta di questa nuova forma di realismo analizzando anche le obiezioni che ad essa sono, o possono essere, mosse (pp. 82-92).

Da ultimo, il volume è ulteriormente impreziosito da una interessante apertura su come il naturalismo liberalizzato offra un punto di vista innovativo nell’affrontare uno dei temi più difficili della filosofia, ossia quello del libero arbitrio. Anche qui, dopo una puntuale analisi degli errori più comuni nel trattare tale tema (pp. 93-99), viene affermata l’utilità di un approccio pluralistico, in cui «scienza e filosofia possano interagire senza subordinazioni reciproche» (p. 69). La scelta indicata è quella di spiegare il mondo umano, abbandonando il monismo casuale e adottando il pluralismo causale, in quanto l’essere umano è complesso e le sue azioni non possono essere comprese attraverso un’unica prospettiva. Vale cioè anche per la conoscenza dei fenomeni umani l’assunto-base di questa nuova forma di realismo, che risuona, alla conclusione del volume, come un monito che ci ricorda una verità che, sebbene spesso venga dimenticata, continua a riemergere e a mostrarsi ancora valida: «Perché la realtà è inesauribilmente variegata […] non possono che essere variegate anche le modalità con cui possiamo darne conto» (p. 116).

Si tratta, come si vede, di una proposta che ha vari punti in comune con quella su cui stanno lavorando alcuni docenti della nostra Università (e non solo) parlando di Multifocal approach.

 Francesca EUSTACCHI

IL LIBRO

Mario DE CARO, Realtà, Bollati Boringhieri, Torino 2020, pp. 126

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