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DADA', Etica della VULNERABILITA'

Il volume di Silvia Dadà indaga le forme della vulnerabilità da una prospettiva etica. La tesi di fondo è che la vulnerabilità sia il motore della vita etica, in quanto “grandezza” relazionale: una tesi che si articola in tre tappe, corrispondenti a tre capitoli: Filosofia della vulnerabilità; Politica della vulnerabilità; Bioetica della vulnerabilità. Fin dall’introduzione, l’autrice esplicita che la vulnerabilità non è soltanto «un carattere imprescindibile del nostro essere, ma anche una risorsa per il nostro vivere in comune» (p. 18). A partire da una chiarificazione concettuale del termine, accompagnata da una puntuale ricostruzione delle fonti, si sviluppa nel testo l’idea che la vulnerabilità non sia da considerarsi soltanto pietra d’inciampo di una certa visione del soggetto e dell’autonomia, ma un’inaggirabile occasione per la manifestazione della vita etica e per la costruzione di comunità accoglienti, solidali, capaci di cura. Essa diventa quindi il perno attorno a cui è possibile delineare i contorni di un’etica che guarda alla responsabilità e alla cura come forme di attenzione alla vulnerabilità. La declinazione di tale concetto in chiave relazionale è ciò che la rende riconoscibile come chiave d’accesso alla vita morale: non si tratta solo di prendere atto della vulnerabilità, ma piuttosto di assumere la sua protezione come un compito possibilmente condiviso.

Nel primo capitolo, Filosofia della vulnerabilità, Silvia Dadà costruisce la sua proposta filosofica indagando tre luoghi in cui a suo avviso la vulnerabilità si fa evidente, tangibile: il soggetto; l’altro; la relazione. Quanto al soggetto, tre sono le soglie attraverso cui è possibile rintracciarne la vulnerabilità: il corpo; il tempo; le passioni. Il corpo, a suo avviso, «non è sostanzialmente differente da me, ma nello stesso tempo non è me: è ciò che rivela la non-coincidenza di me con me stesso» (p. 17). Attraverso un’interlocuzione con Levinas, Derrida, Nancy, tra gli altri, si comprende come proprio il corpo fragile e sofferente costituisca la traccia di un’alterità che è fonte di vulnerabilità. Finitudine e temporalità, anche nella forma dell’invecchiamento, costituiscono un’ulteriore prova della non totale padronanza del soggetto su di sé, e per questo della sua condizione vulnerabile. Analogamente, le passioni, che l’autrice distingue da emozioni e sentimenti, dicono di una condizione di perturbabilità di cui prendersi cura. Oltre alle soglie e alle occasioni di esposizione che si rintracciano nella vita stessa del soggetto, la meditazione sull’alterità che caratterizza la filosofia del Novecento è per l’autrice ulteriore traccia di una vulnerabilità inaggirabile, che si dà nella forma dell’esposizione. L’altro in questo caso s’incontra in diverse forme: l’altro sofferente, l’altro vivente testimoniano di un tentativo fallimentare, da parte dell’uomo, di esercitare una padronanza agli antipodi rispetto alla custodia e alla responsabilità a cui tali alterità invitano. A proposito della relazione, l’autrice tematizza un «secondo grado della vulnerabilità, un grado propriamente etico, che consiste nell’essere vulnerabile dell’altrui vulnerabilità» (p. 53). Questa vulnerabilità di secondo livello è la fonte della risposta etica alla vulnerabilità costitutiva. Una risposta che, secondo Dadà, avviene con il concorso dell’empatia e della responsabilità: delle due, è la seconda a giocare un ruolo determinante nella vita etica, in quanto si traduce nella prassi della cura.

Nel secondo capitolo si delinea una Politica della vulnerabilità. Come per la vita etica, in cui la vulnerabilità costituisce il motore dell’agire, così per la vita politica tale concetto può dischiudere un «potenziale performativo» (p. 66). Il percorso compiuto nel capitolo ricostruisce la complessa interazione fra dipendenza e cura, estendendo l’orizzonte alle relazioni pubbliche e ai rapporti di potere. Un’attenta lettura delle dinamiche della cura e della dipendenza può rivelarsi un’efficace «cartina di tornasole per rilevare la distribuzione del potere» (p. 73). Tale lavoro diagnostico è il presupposto per un’attivazione politica che distribuisca equamente gli oneri della cura, non rovesci la dipendenza in occasione di dominio, trasformi la vulnerabilità in resistenza. La dipendenza è una forma della vulnerabilità, la cura è una risposta dovuta non solo individualmente, ma anche socialmente e politicamente. Perché la vulnerabilità non sia intesa come un ostacolo alla logica prestazionale e, al contempo, perché essa non generi occasioni ulteriori di dipendenza, occorre secondo l’autrice ripensare anche l’autonomia in una chiave relazionale, che prenda distanza da un’idea astratta e irrealistica di individuo indipendente, ne riconosca i legami, e preservi la possibilità di una vita degna.

Il terzo capitolo è dedicato alla Bioetica della vulnerabilità. Anche in questo capitolo è centrale il ripensamento dell’autonomia in prospettiva relazionale. In questo ultimo segmento del percorso, Dadà propone una distinzione tra «un senso universale e uno particolare» (p. 98) della vulnerabilità, avvalorato da una lettura dei principali documenti redatti in ambito bioetico. Se da un lato, riconosce l’autrice, l’insistenza sulla comune vulnerabilità rischia di sottostimare i casi di vulnerabilità “accentuata”, dall’altro lato la focalizzazione eccessiva sul particolare corre il pericolo opposto, soffermandosi sulle soluzioni a breve termine che non modificano il contesto. Tenendo insieme le due esigenze, l’autrice si sofferma anzitutto sul legame tra il concetto di malattia e quello di vulnerabilità; in secondo luogo, passa in rassegna i principali documenti redatti in ambito bioetico a livello internazionale, al fine di rintracciarvi le occorrenze del tema della vulnerabilità; in terzo luogo, si concentra sulla declinazione relazionale dell’autonomia nel panorama bioetico, nella persuasione che solo in questo modo si possa evitare una perniciosa equazione tra autonomia e indipendenza e farsi carico, avendone cura, della vulnerabilità comune senza cadere nell’inganno della sua rimozione totale. La vulnerabilità che può essere ridotta, legata al particolare, non cancella né riduce la vulnerabilità comune. Essa costituisce piuttosto un’occasione ulteriore per l’agire etico orientato alla responsabilità: «Se […] il principio di autonomia pensato nei termini tradizionali concepisce la vulnerabilità in un senso esclusivamente particolare e ne ricerca l’eliminazione […] l’autonomia relazionale ci permette di superare questa contrapposizione e di estendere la portata di quest’idea anche al piano universale» (p. 122).

INDICE

Introduzione

Capitolo primo – Filosofia della vulnerabilità

1. Soggettività

1.1 Fragilità del corpo

1.2 Finitudine e alterazione del tempo

1.3 Passioni e perturbabilità

2. Alterità

2.1 La sofferenza dell’altro uomo

2.2 Il rischio per il vivente

3. Relazione

Capitolo secondo – Politica della vulnerabilità

1. Dipendenza e cura

2. Autonomia: mito da abbandonare o idea da recuperare?

3. Resilienza e resistenza

Capitolo terzo – Bioetica della vulnerabilità

1. Malattia come espressione di vulnerabilità

2. Documenti internazionali

3. Autonomia. Tra universale e particolare

4. Conclusioni. La vulnerabilità tra cura e responsabilità medica

Indice dei nomi

IL LIBRO

S. Dadà, Etica della vulnerabilità, Morcelliana, Brescia 2022, pp. 139

Silvia PIEROSARA

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