CAVARERO, DONNE che allattano cuccioli di LUPO
«Deinon to tiktein estin: tremendo è il figliare.»[1]
Lo dice Clitemnestra nell’Elettra di Sofocle e lo riprende Adriana Cavarero in questo saggio in cui esplora il concetto di "tremendo" legato alla maternità, cercando di recuperare una dimensione spesso oscurata dalle narrazioni tradizionali. Il concetto indica qui quell’aspetto della maternità che è al tempo stesso potente, affascinante, destabilizzante e anche disgustoso. È la parte carnale dell'esperienza materna, in cui il corpo femminile si fa complice del processo procreativo della natura consentendole di rigenerarsi ogni volta. È infatti nel tremendo che si annida l’origine della vita, nel corpo di donna che si lacera per generarci. Da qui la necessità di fare luce su questa verità cruda e materiale, ridando alla maternità una profondità che non si limita a essere felice o tragica, ma che è anche, e soprattutto, ambivalente. In sostanza, il tremendo è ciò che irrompe nella fabula dominante della maternità, facendo emergere un racconto autenticamente corporeo e complesso, nella sua grandezza e nella sua precarietà. La riflessione di Cavarero risulta particolarmente interessante perché non solo ribalta l'idea della maternità come esperienza sempre positiva, ma cerca di tirarla fuori dallo spazio marginale in cui è stata relegata. Parrebbe esserci, infatti, una duplice oppressione: da un lato, la narrazione romantica del materno, funzionale alla creazione di una gabbia per il genere femminile costretto a rinunciare al suo ruolo sulla scena pubblica e politica; dall’altro, una totale assenza di produzione letteraria e filosofica sul tema, che contribuisce alla subordinazione delle donne, censurando quella potente esperienza e quel sapere a essa connesso a cui gli uomini non hanno accesso. L’invidia del pene di cui parlava Freud si rovescia qui in un’invidia della vagina. Anche gran parte della filosofia femminista ha censurato questa esperienza. Nel testo viene citata Simone de Beauvoir che, in Il secondo sesso, rintraccia nella maternità la causa della subordinazione femminile, diventata un destino nella società patriarcale. Così l’uomo potrebbe occuparsi di questioni creative che implicano una progettualità, mentre la donna sarebbe costretta a quell’eterna ripetitività che è il generare. Secondo De Beauvoir, infatti, questa non è neppure un’attività poiché «Ella non fa veramente il figlio, questo si fa in lei: la sua carne genera soltanto della carne: è incapace di fondare un’esistenza che dovrà fondarsi da sola.»[2], se è vero che ogni essere umano costruisce da sé la propria identità nel tempo, è anche vero che la sua unicità, anche dal punto di vista fisico, viene immediatamente fuori. Ogni essere umano, infatti, ha una voce o uno sguardo specifico che non sarà mai identico a quello di nessun altro. Dalla sua prospettiva esistenzialista però, De Beauvoir non sembra dare importanza né alla physis né alla dimensione carnale. L’esperienza della maternità è stata, dunque, resa afona nonostante questa sia il luogo materiale dell’origine di ogni essere umano generato come individuo singolare e irripetibile. L’autrice si scaglia anche contro quella tradizione filosofica occidentale che ha postulato il primato del pensiero sul corpo, svalutando completamente l’esperienza materna e anzi derubandone l’universo. A Socrate è attribuita l’arte della “maieutica” e Platone, nei suoi dialoghi, cita dettagliatamente tutto il processo del parto, senza però menzionare la madre né il ruolo del corpo, riferendolo allo sviluppo creativo delle idee appannaggio di maestri e filosofi, chiaramente uomini.[3] È interessante ciò che Christine Battersby proponeva a proposito, e cioè una “metafisica carnale” fondata sul soggetto femminile, che ponesse al centro il corpo e l’atto della nascita, come atto originariamente relazionale che produce esseri umani altrettanto relazionali, per sovvertire il paradigma di autosufficienza e autarchia che derivano dalla concezione del soggetto metafisico tradizionale.[4] Attraverso racconti mitici e immagini, Cavarero recupera icone significative per la maternità, chiamate dell’”iper-materno” poiché caratterizzate dall’eccesso. Il primo racconto che ci viene presentato è quello delle Baccanti di Euripide. Le donne di Tebe, invasate da Dioniso, scappano dalla città e raggiungono il monte Citerone per venerare il dio e praticarne il culto. Qui oltrepassano la loro funzione di allattare i figli neonati e porgono le mammelle a cuccioli di animali selvatici, eccedendo il loro ruolo. La follia che le assale è contrassegnata dal rifiuto di una maternità rigidamente allacciata ai canoni patriarcali, al ruolo domestico e privato. Le baccanti si fanno complici di una zoe che alimenta tutti i viventi, li tiene in vita e li fa crescere, prendendosi cura gratuitamente dei loro bisogni (la terra stessa zampilla miele e latte). Il mito di Niobe, invece, illustra il "tremendo" e il suo legame con la potenza creativa. Niobe si vanta di aver messo al mondo 14 figli, vite uniche generate dalla sua vita unica, corpi generati dal suo corpo. Il mito allude, come del resto quello fa quello delle Baccanti, a una maternità selvaggia e animale, complice di quel processo della vita generale che è auto accrescimento e ciclica rigenerazione. Donne che allattano cuccioli di lupo. Icone dell’ipermaterno. offre inediti spunti di riflessione sulla maternità (dalla gestazione, al parto, alla pratica materna) utili per elaborare un nuovo concetto di materno che vada oltre ogni stereotipo, in grado di restituire le verità, in una narrazione polifonica, di questa esperienza. È fondamentale, in tutto questo, riscoprire il tremendo, per abbracciare una narrativa che riconosca la fatica, il dolore e la potenza della maternità, per poterla pensare in modi nuovi.
[1] Sofocle, Elettra, v.770. (citato da A.Cavarero in Donne che allattano cuccioli di lupo. Icone dell’ipermaterno, Castelvecchi editore, Roma, 2024, p.31.)
[2] Beauvoir, Il secondo sesso, il Saggiatore, 2016, p.45; ed.orig. Le Deuxième sexe, 1949.
[3] Cavarero, Donne che allattano cuccioli di lupo. Icone dell’ipermaterno, cit., p.38.
[4] Battersby, The Phenomenal Woman: Feminist Metaphysics and the Patterns of Identity, Polity Press, 1998.
Bibliografia
Battersby, C. (1998). The Phenomenal Woman: Feminist Metaphysics and the Patterns of Identity. Polity Press.
Beauvoir, D. (2016). Il secondo sesso. Il Saggiatore.
Cavarero, A. (2024). Donne che allattano cuccioli di lupo. Icone dell'ipermaterno. Roma: Castelvecchi.
IL LIBRO
A. CAVARERO,Donne che allattano cuccioli di lupo. Icone dell’ipermaterno, Castelvecchi, Roma 2023