Home Libri / Approfondimenti Angelo NIZZA, LINGUAGGIO e LAVORO nel XXI secolo. Natura e storia di una RELAZIONE, Mimesis, Milano-Udine 2020

Angelo NIZZA, LINGUAGGIO e LAVORO nel XXI secolo. Natura e storia di una RELAZIONE, Mimesis, Milano-Udine 2020

Il volume di Angelo Nizza (Dottore di Ricerca e Cultore della Materia presso l’Università della Calabria, e Coordinatore dell’Associazione Culturale Filosofia Roccella Scholé), è un testo chiaro, di agile lettura e profondo insieme, che sonda con appassionata lucidità le radici di alcune delle categorie fondamentali dell’Occidente, tra cui quelle di azione e produzione, atto e potenza, kinesis ed ergon. Tali profondi radici, però, nel saggio, non vengono solo riprese ma, in qualche misura, vengono riportate alla luce e vivificate, allo scopo, come dichiarato sin dalle prime battute dell’opera, «di selezionare e affinare il modello filosofico in grado di descrivere la relazione tra linguaggio e lavoro nel XXI secolo».

Dopo l’Introduzione (Capitalismo e natura umana), il volume si articola in tre capitoli: I: Il problema dell’opposizione tra praxis e poiesis; II. Il postfordismo: alcuni studi di economia, sociologia e linguistica; III. Tre ipotesi sul superamento dell’opposizione tra praxis e poiesis.

Il volume, inoltre, attraversa tanto dichiaratamente quanto criticamente tre paradigmi del pensiero italiano contemporaneo che hanno il merito di esplorare, in vario modo, il mescolamento tra praxis e poiesis: 1) l’inoperosità di Giorgio Agamben, 2) lo schema omologico della produzione di Ferruccio Rossi-Landi, 3) il lavoro senza teleologia di Paolo Virno e degli operaisti. Nizza si schiera subito esplicitamente a favore del terzo paradigma, perché, dichiara, ha un triplice vantaggio: «a. conservare il concetto di lavoro per analizzarne la metamorfosi, contro le teorie che ne riducono la centralità o, peggio, ne prospettano la fine; b. non ridurre tutto il linguaggio alla sequenza logica dell’agire strumentale; c. concepire una teoria generale della performatività umana come superamento non della coppia, bensì della dicotomia praxis/poiesis».

Il rapporto praxis/poiesis, ricostruito mediante un attraversamento puntuale del testo aristotelico, rappresenta il punto di partenza del saggio. Nel primo capitolo, infatti, vengono ripercorse alcune delle tappe più rilevanti attraverso cui la filosofia occidentale ha pensato proprio questo rapporto a partire, ovviamente, dal padre di tale distinzione: Aristotele. Il riferimento al filosofo greco, peraltro, non è per nulla “occasionale” né si configura come una sorta di “tappa obbligata”. Piuttosto, da Aristotele, convintamene, si parte e alla sue categorie si fa riferimento e si torna in modo costante e approfondito, come mostra, ad esempio, una lunga sezione del primo capitolo, peraltro molto opportunamente supportata da riferimenti testuali (Il problema dell’opposizione tra praxis e poiesis; Sul libro VI dell’Etica Nicomachea di Aristotele; Prima tesi: il fine della praxis non è quello della poiesis; Seconda tesi: praxis e poiesis sono meta logou;Terza tesi: praxis e poiesis non sono termini autoconsistenti; Praxis e poiesis secondo la coppia potenza-atto; Energheia vs. kinesis; Chresis, energheia, ergon).

L’itinerario lungo le rotte del fondamentale rapporto tra azione e produzione (che approda alla Arendt, passando per Hegel e Marx, Habermas, Austin e Gehlen), mira anzitutto alla ricomposizione tra queste due nozioni e mostra come l’abbattimento capitalista della divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale confuta l’opposizione tra praxis e poiesis. Peraltro l’Autore ricorda come tali categorie, nello stesso Aristotele, risultino essere sì distinte ma non separate («ciò non deve indurre in tentazione e far credere che i due campi, anche se logicamente irrelati, non possano contaminarsi l’un l’altro, creando infiltrazioni di ogni sorta»).

A tale prima fondamentale ricomposizione seguono due altre fondamentali operazioni di “ricucitura”. La prima è quella fra logos e praxis, cioè tra linguaggio e azione. A partire, ancora una volta, dalle radici, ovvero dalle due fondamentali e celeberrime tesi aristoteliche, secondo cui, da un lato, 1) azione e produzione rientrano in generi diversi e, 2) dall’altro l’uomo è l’unico animale (ζώων) a possedere (ἔχει) il linguaggio (λόγον)», Nizza rilegge in modo (solo apparentemente) rivoluzionario rispetto al dettato aristotelico, il linguaggio, riconoscendogli lo statuto logico della praxis. La tesi di Nizza, che in ciò si pone in perfetta sequenza con il pensiero di Virno, è che il linguaggio nella sua coerenza concettuale è praxis. L’esperienza del parlante, in questo senso, viene equiparata a quella di un artista esecutore come il pianista, il ballerino, l’attore.

A questa ricomposizione dei due piani del logos e della praxis fa perfettamente pendant la ricucitura di un altro strappo: quello tra logos e poiesis. Mentre, infatti, l’uso del linguaggio verbale è centrale da sempre nell’azione politica, esso diventa centrale proprio ora nel lavoro. «Ciò spiega perché l’odierna produzione di merci sfoggi spesso quel connubio di poiesis e praxis, prestazione lavorativa e azione politica, che è il segno di riconoscimento dell’attività di uso. Spiega perché le mansioni cui si è adibiti in fabbrica o in ufficio richiedano la phronesis non meno che della techne» (P. Virno, L’idea di mondo. Intelletto pubblico e uso della vita, Macerata, Quodlibet, 2015, p. 159).

Se, dunque, conclude l’Autore, fino a cinquant'anni fa in fabbrica non si parlava, visto che la catena di produzione doveva rimanere muta e assomigliare a ciò che la filosofia ha chiamato poiesis, se il tempo delle relazioni sociali, della comunicazione e della politica, cioè della praxis, era separato dal tempo del lavoro, oggi accade l'esatto contrario, perché il capitale richiede come requisiti professionali le tipiche competenze cognitivo-linguistiche e relazionali degli esseri umani.

Il volume, impreziosito anche da una Postfazione di Marco Mazzeo, La ramazza delle parole, rappresenta un prezioso invito a pensare nuovamente la fondamentale mescolanza tra praxis e poiesis, a ridefinire «orizzonti inediti» ed elaborando, all’interno delle complesse e problematiche trame del lavoro contemporaneo, «il germe di una condotta operosa a venire, contrassegnata dalla mescolanza tra praxis e poiesis e dal libero uso attivo delle facoltà fisiche e intellettuali contenute nei corpi».

 

Arianna Fermani

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