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AGACINSKI, L'uomo DISINCARNATO

In L’uomo disincarnato. Dal corpo carnale al corpo fabbricato, Sylviane Agacinski offre una riflessione tagliente e coraggiosa su uno dei nodi più controversi della contemporaneità: la disincarnazione dell’essere umano nel contesto della tecnoscienza, attraverso l’analisi della GPA (gestazione per altri).

Agacinski affronta la questione da una prospettiva originale poiché sottrae la GPA sia alla retorica del dono, sia a quella del lavoro, per interpretarla invece come parte di un più ampio processo di «liberazione dal corpo» che nasce da un disagio proprio dell’essere umano (frutto di evoluzioni storico-culturali) nei confronti della sua dimensione biologica. Questo “disagio” ha inizio con il dualismo platonico che relega il corpo a una posizione subordinata rispetto all’anima, unica possibile via d’accesso alla verità. È il maschile ad appropriarsi di questo dualismo gerarchizzante e ad assegnarsi un posto nel regno del Logos, esiliando da esso la dimensione corporea attribuita al sesso femminile, che è anche il sesso che genera. Il corpo femminile, capace di sanguinare ogni mese, di scindersi e generare ha suscitato timore, ribrezzo e invidia, portando al suo assoggettamento. Così alla capacità delle donne di generare fisicamente, la cultura greca ha contrapposto una capacità dell’uomo (specificatamente del filosofo) di “partorire con la mente.”  Questa argomentazione trova la sua più ampia esposizione nel Simposio di Platone, in cui è la stessa Diotima a dire a Socrate che sebbene la riproduzione risponda a un bisogno di immortalità da parte degli esseri umani, vi è una capacità superiore a quest’ultima: la produzione, a opera della ragione, di idee eterne e immortali, al contrario degli esseri umani.[1] Il dualismo Platonico ha trovato fortuna nel corso dei secoli, tanto che diverse dottrine lo hanno rielaborato e riadattato, mantenendone il nucleo centrale: il disprezzo per la carne. Soprattutto nell’età moderna, il corpo viene sempre più percepito come una zavorra e un limite da superare, compito che viene affidato alla tecnica. Secondo Agacinski, la GPA non sarebbe altro che uno dei tanti tentativi di liberazione, da parte dell’essere umano, dalla dimensione corporea e contingente.

In questa prospettiva, l’ingresso del corpo femminile nel mercato riproduttivo non è tanto una rivendicazione di autodeterminazione quanto l’effetto collaterale – e tragico – di un desiderio più antico: il sogno di emanciparsi dalla carne stessa. Se il corpo è associato storicamente al femminile e lo spirito al maschile, allora desiderare di «liberarsi dalla carne» è anche – in modo più o meno consapevole – un desiderio maschile di liberarsi dal femminile. Non sorprende, dunque, che anche alcune donne finiscano per interiorizzare questa logica, aderendo all’idea di un sé etereo, astratto, distante dalla propria dimensione carnale e generativa.[2] Particolarmente lucida è l’analisi della frammentazione dell’esperienza materna operata dalla GPA che prevede la moltiplicazione delle figure genitoriali. Tre sono infatti le madri: madre genetica, madre gestante, madre sociale. Dunque, quella che un tempo era un’esperienza unica e complessa, viene oggi scomposta, distribuita, resa funzionale al desiderio altrui. Una disarticolazione che non è solo tecnica ma simbolica, e che, secondo Agacinski, svuota di senso l’esperienza materna stessa, riducendola a una somma di funzioni parziali.

L’autrice mette in discussione anche la grammatica più diffusa del nostro rapporto con il corpo. Diceva già Merleau-Ponty che dire “io ho un corpo” è diverso dal dire “io sono un corpo”. Dire di avere un corpo significa pensarsi come soggetti distaccati da esso, proprietari di un oggetto manipolabile. Ma il corpo non è una cosa: è ciò che siamo.[3] Pensare di possederlo è il primo passo per legittimarne la compravendita. Contro l’illusione, tutta moderna, di una libertà assoluta sul corpo che percepiamo come altro da noi, Agacinski si chiede se sia davvero emancipazione questa o è semplicemente l’estensione del dominio del mercato in uno spazio che dovrebbe restare umano. È quindi solo attraverso la riattualizzazione della speranza di liberarsi dall’ingombro del corpo che diventa comprensibile l'intervento della potenza tecno-scientifica nella vita dell'essere umano, convinto di svincolarsi finalmente dai limiti della carne, ma «la terra interamente illuminata splende all'insegna di trionfale sventura».[4]

Il testo di Agacinski è breve ma potente, sfida le logiche dominanti e neoliberiste mettendo a nudo le contraddizioni di un’epoca in cui il corpo, anziché essere riconosciuto come luogo di relazione, di limite e di senso, viene sempre più pensato come ostacolo, oggetto, merce. Un libro necessario per ripensare una politica del corpo che non ceda alla logica dell’alienazione, ma che riscopra la dimensione materiale come fondamentale per il soggetto che esperisce il mondo e vive grazie al suo essere fatto di carne e sangue. Per dirla con le parole di Bourdieu: «Il mondo è comprensibile perché il corpo è stato esposto alle sue regolarità sin dall'origine, facendo dell'individuo storico un individuo incarnato».[5]

Bibliografia

 

 Note:


[1] Platone, Simposio, Opere complete, vol.3, Laterza, Roma-Bari, 1971, 207 a, p.195.

[2] S.Agacinski, L’Uomo Disincarnato. Dal corpo carnale al corpo fabbricato. Neri Pozza, 2020, p. 25.

[3] M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Il saggiatore, Milano, 1972.

[4] Max Horkheimer, Theodor W.Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, Einaudi, 2010, p.11.

[5] P. Bourdieu, Il senso pratico, tr.it di Mauro Piras, Armando Editori, Roma 2005, p.43.

 

IL LIBRO

Sylviane Agacinski, L’uomo disincarnato. Dal corpo carnale al corpo fabbricato, Neri Pozza, Venezia 2020, pp. 96.


Francesca MUSARO

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