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LEGGENDO IL LIBRO DELL'UNIVERSO

Esiste una struttura fondamentale dell’universo? E, se tale struttura esiste, quali sono i suoi elementi? E le sue leggi? E cosa significa, per una struttura, essere “fondamentale”? John Heil e Theodore Sider hanno recentemente pubblicato due studi nei quali si tenta di fornire risposta a questi ed altri interrogativi. Si tratta di imprese ambiziose, giacché entrambi i filosofi si propongono di delineare veri e propri sistemi filosofici, all’interno dei quali collocare le soluzioni elaborate nel corso di decenni di riflessione a problemi di vario tipo: ad esempio, lo statuto degli universali e delle sostanze (ammesso che esistano universali e sostanze), la natura del tempo, della coscienza.

Per non far torto agli autori, non posso certamente soffermarmi in modo esaustivo sul contenuto delle due opere. Basterà dire che lo studio di Sider (Writing the Book of the World) è suddiviso in 12 capitoli e spazia su questioni molto diverse tra loro e pertinenti a numerose discipline: non soltanto questioni metafisiche, dunque, ma anche meta-metafisiche (questioni sullo statuto ed il metodo della metafisica), logiche, epistemologiche. Lo studio di Heil (The Universe as We Find It), invece, si concentra quasi esclusivamente su temi prettamente metafisici. Questa differenza sembra determinata da una preoccupazione metodologica più forte in Sider che in Heil.

Ad ogni modo, il problema principale della metafisica consiste, per Sider, nel capire quali siano le “nervature” della realtà, nel “tagliare” idealmente la realtà seguendo tali nervature (“carve nature at its joints”). Questa terminologia richiama un passo del Fedro di Platone, nel quale Socrate illustra uno dei due procedimenti utilizzati dalla dialettica (il procedimento, per così dire, analitico) mediante la metafora del macellaio: tale procedimento consiste nella “capacità di smembrare l’oggetto in specie, seguendo le nervature naturali, guardandosi dal lacerarne alcuna parte come potrebbe fare un cattivo macellaio” (Fedro, 265 d-e). Un buon metafisico, dunque, al pari di un buon macellaio, sa che vi è un modo corretto di dividere la realtà o, meglio, un modo più corretto di altri. Il modo più corretto di dividere la realtà è, fuor di metafora, la sua struttura. Per spiegare meglio cosa sia tale struttura, immaginerò, con Sider (Sider, p. 2), un universo diviso a metà tra una regione rossa e una blu. Il modo più corretto di dividere quell’universo consiste, appunto, nell’affermare che vi sono due regioni, una rossa e una blu. Se un’altra persona osservasse lo stesso universo e dicesse: “vi sono in realtà tre regioni, una rossa, una blu e una blu-rossa” (immaginando due confini, due “nervature” distinte, e non già una soltanto), quella persona dividerebbe l’universo in un modo meno corretto del nostro. Che ragione vi sarebbe per introdurre un altro confine e delimitare una regione blu-rossa? Una terza persona, poi, potrebbe non vedere confini e dire che quell’universo è, semplicemente, blu-rosso (che vi è un’unica regione “blossa”). La “nervatura”, il confine tra le due regioni, non sarebbe introdotta: non si riconoscerebbe una differenza reale all’interno di quell’universo, vale a dire una differenza che c’è (indipendentemente dall’arbitrio dell’osservatore) e che deve essere ammessa per conoscere adeguatamente l’universo.

La situazione, tuttavia, potrebbe complicarsi, e complicarsi non poco! Pur ammesso che vi siano due regioni, una blu e una rossa, infatti, bisognerebbe ancora chiedersi cosa sia, per qualcosa, essere una regione. Inoltre, resterebbe ancora da capire cosa sia per una regione essere una regione blu o essere una regione rossa. Le due regioni, poi, si trovano l’una accanto all’altra. E cos’è, per una regione, essere accanto ad un’altra regione? Insomma, se volessimo fornire una descrizione esaustiva di quell’universo, quante entità dovremmo introdurre? Un metafisico minimalista affermerebbe: quell’universo consiste di due entità (una regione blu ed una regione rossa), e questo è tutto. Un metafisico più permissivo, invece, direbbe che quell’universo consiste di almeno cinque entità: due regioni, due proprietà monadiche (la proprietà di essere rosso e la proprietà di essere blu), una relazione (la relazione dello stare accanto). Inoltre, egli potrebbe aggiungere che, benché vi siano cinque entità, quell’universo è costituito da tre tipi di entità: regioni, proprietà monadiche e relazioni. Immaginiamo, però, che il primo metafisico non voglia ammettere proprietà monadiche e relazioni. Egli replicherebbe, semplicemente, che le proprietà e le relazioni non esistono per se stesse, ma dipendono dall’esistenza delle regioni; che, se non ci fossero regioni, non vi sarebbero neppure le proprietà di essere rosso e di essere blu, né vi sarebbe la relazione dello stare accanto, mentre le regioni sono fondamentali, perché non paiono dipendere da altro. Occorrerebbe allora definire una relazione di dipendenza tra entità di tipi diversi: le regioni sono le entità da cui proprietà e relazioni dipendono. Il metafisico permissivo, però, potrebbe a sua volta obiettare: “ben venga ammettere che le regioni sono più fondamentali di proprietà e relazioni; ciò non implica, tuttavia, che proprietà e relazioni non siano entità”. “Del resto”, continuerebbe il metafisico permissivo,” se non vi fossero queste ultime entità, non sarebbe affatto sensato parlare della loro dipendenza dalle regioni, né della fondamentalità delle regioni”.

Qui, pertanto, sembra imporsi un rilievo: affermare che certe entità di un certo tipo sono fondamentali non implica negare l’esistenza di entità non fondamentali di altri tipi, né implica negare l’esistenza di entità non fondamentali del tipo fondamentale (o dei tipi fondamentali). Assumiamo, infatti, che gli atomi siano fondamentali e accettiamo un’ontologia che ammetta due tipi fondamentali distinti di entità: oggetti e proprietà. Gli atomi sono oggetti, ma anche i cani, gli uomini e le stelle sono oggetti. Affermando che gli atomi sono fondamentali, non ci impegniamo automaticamente ad affermare che non esistono cani, uomini e stelle, né che tutto ciò che diciamo su cani, uomini e stelle è falso o può essere detto parlando di atomi, come afferma anche John Heil (Heil, p. 6). Al contrario, considerare gli atomi oggetti fondamentali significa, intuitivamente, ritenere che, se non vi fossero atomi e se gli atomi che vi sono non fossero in un certo modo (cioè se essi non avessero certe proprietà), non vi sarebbero neppure cani, stelle e uomini e tali oggetti non-fondamentali non sarebbero così come sono. L’investigazione della struttura fondamentale dell’universo, pertanto, mira (1) a scoprire le categorie fondamentali di entità (vi sono due categorie, oggetti e proprietà, o una soltanto, o più di due?), ma anche e soprattutto a capire (2) quali siano le entità fondamentali all’interno delle categorie fondamentali, (3) quali siano le leggi che governano le relazioni tra le entità fondamentali, nonché (4) quelle che governano le relazioni tra le entità fondamentali e le entità non-fondamentali. I compiti (1) e (2) riguardano gli elementi della struttura fondamentale, mentre il compito (3) riguarda le leggi di tale struttura e il compito (4) riguarda, in generale, le leggi che governano l’universo.

Per Sider, lo studio della struttura fondamentale consente di comprendere le somiglianze oggettive tra le entità (fondamentali e non), le proprietà intrinseche delle entità (cioè le proprietà che le entità hanno per se stesse, e non in relazione ad altro da sé), le leggi di natura, la “sostanzialità” di certe questioni metafisiche (cioè consente di distinguere le autentiche questioni metafisiche da quelle che sorgono per motivi puramente soggettivi o verbali) e tanto altro ancora (Sider, pp. 12-13). Che una struttura sia fondamentale implica, tra l’altro, che essa sia completa (cioè che ogni verità non fondamentale sia fondata da qualche verità fondamentale), determinata, assoluta e pura (le verità fondamentali implicano soltanto l’uso di nozioni fondamentali) (Sider, pp. 124-167). In proposito, Heil è meno chiaro. L’ontologia fondamentale, per quest’ultimo, consiste nel dire come deve essere l’universo se una qualsiasi teoria scientifica è vera (Heil, p. 2). Ciò non implicherebbe affatto piegare l’ontologia fondamentale, di volta in volta, alla migliore teoria scientifica sul mercato e, in particolare, alla migliore teoria di fisica fondamentale sul mercato. Al contrario, l’ontologia fondamentale contribuisce alla definizione della fisica, giacché identifica le categorie fondamentali di entità così come, più in generale, l’ontologia pone le categorie basilari dell’essere e, con questo, pone dei limiti alla teorizzazione scientifica (Heil, p. 11). Più precisamente, l’ontologia svolge due compiti indispensabili rispetto alla fisica fondamentale. In primo luogo, appunto, individua le categorie ontologiche basilari. Per Heil, si tratta di sostanze e proprietà e i fattori di verità per ogni verità nel mondo sono le sostanze dotate di proprietà. Una particella fisica fondamentale può essere appunto intesa come una sostanza dotata di certe proprietà, così come è una siffatta sostanza un oggetto fisico non-fondamentale. In secondo luogo, fornisce un quadro delle relazioni tra le singole scienze, proprio perché aspira alla conoscenza dell’universo così come lo troviamo: non solo delle particelle fisiche fondamentali, dunque, ma anche di tutte quelle sostanze non-fondamentali dotate di proprietà (Heil, pp. 279-280).

In sede di riflessione critica, vorrei sottolineare che i compiti (1)-(4) dell’ontologia fondamentale non devono necessariamente presupporre che la fondamentalità sia pensata in modo univoco. Mi sembra, in effetti, che sia Sider che Heil non riconoscano la possibilità che vi siano più sensi in cui un’entità è fondamentale rispetto ad un’altra entità. Un metafisico, in effetti, potrebbe ammettere che le persone non sono fondamentali quanto alla propria esistenza fisica (esse potrebbero dipendere dall’esistenza e dalle proprietà delle loro particelle fisiche fondamentali quanto alla propria esistenza e natura fisica), ma che esse sono fondamentali riguardo alle loro decisioni, nel senso che potrebbe non esservi nulla di più fondamentale delle persone quanto all’esistenza di una certa decisione ed alla sua particolare natura. Probabilmente, una certa persona non potrebbe prendere una certa decisione se non avesse una certa natura fisica e se non esistesse fisicamente, ma ciò non pare implicare che l’esistenza e la natura di quella decisione siano fondate unicamente nell’esistenza e nella natura fisica di quella persona, né in ciò che è fondamentale rispetto all’esistenza ed alla natura fisica di quella persona. L’intelligibilità stessa di queste posizioni invita, se non altro, a valutare in modo più approfondito il tema della fondamentalità e, forse, a leggere in modo diverso il libro dell’universo.

I libri

- John Heil, The Universe as We Find It, Oxford University Press, Oxford 2012

- Theodore Sider, Writing the Book of the World, Oxford University Press, Oxford 2011


Michele Paolini Paoletti
michele.paolinip@gmail.com

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