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Le DONNE filosofe nell'antichità

Il convegno Le donne filosofe nell’antichità, svoltosi a Bergamo nei giorni 12 e 13 dicembre 2016, è stato organizzato dalla Professoressa Maddalena Bonelli (docente di Storia della Filosofia Antica), dell’Università degli Studi di Bergamo, Dipartimento di Lettere, Filosofia, Comunicazione.

In questo breve report, vista l’evidente impossibilità di ripercorrere tutte le tematiche affrontate all’interno del convegno, si proverà ad illuminare solo alcuni degli snodi storico-concettuali più significativi emersi all’interno di alcuni dei contributi presentati.

Il primo intervento (Ipazia. Problemi di ricostruzione e interpretazione) è stato quello di Gemma Beretta, studiosa di Ipazia d’Alessandria. In tale relazione è stato sottolineato che il lavoro di ricostruzione dell’opera dell’antica Maestra di Alessandria (nata a Alessandria nel 370 d.C.) non è risultato privo di difficoltà, poiché dei suoi scritti non è rimasto niente: hanno cancellato ogni sua traccia, quasi a mettere in dubbio la sua stessa esistenza. Pertanto, per ricostruire la sua figura, è stato necessario ricorrere alle testimonianze indirette. Le principali testimonianze su Ipazia sono costituite da Socrate Scolastico, teologo e storico della Chiesa; Sinesio di Cirene, filosofo neoplatonico e vescovo di Cirene e, infine, Filostorgio, storico della Chiesa appartenente alla setta degli ariani. Tutti e tre sono contemporanei di Ipazia. Inoltre, un’ulteriore testimonianza è quella di Damascio, filosofo neoplatonico e ultimo scolarca dell’Accademia di Atene, che narra della filosofa un secolo dopo la sua tragica morte. Tutte le fonti cristiane ci rimandano un ritratto di una donna di grande intelligenza e autorità, oltre che coraggiosa e fiera. L’unica fonte a lei ostile ci è data dalla testimonianza di Giovanni di Nikiu, che scrive nel VII sec. d.C. Sappiamo che la sua morte è avvenuta per mano di alcuni fanatici religiosi, i parabalani, che agirono con il tacito consenso del vescovo Cirillo. In molti riconoscevano in Ipazia l’autorità di essere la terza caposcuola del platonismo, dopo Platone e Plotino. La Beretta, inoltre, ha magistralmente mostrato il rapporto maestra-allievo che intercorreva tra Ipazia e Sinesio, rapporto che viene approfondito anche nell’opera maggiore di Sinesio, dedicata a Ipazia, il Dione, dove troviamo il rapporto maestra-allievo tra Aspasia e Socrate. Socrate, così, è iscritto in una tradizione di sapere femminile, come è evidente, inoltre, nell’esempio di Diotima, ispiratrice di Platone.

Della figura di Diotima ha parlato Sara Belotti nel suo intervento dal titolo: Diotima e la ricerca di un’identità. Diotima è una figura misteriosa e la Belotti si è concentrata sul problema, alla luce delle fonti e, principalmente, dei testi platonici, se questa figura sia un’invenzione di Platone o di Socrate.

Manuela Migliorati, inoltre, ha illustrato la pitagorica Teoclea. La Migliorati, in generale, si è soffermata sulle donne della scuola Pitagorica, evidenziando il problema della scarsità degli scritti a disposizione. Il materiale di studio, infatti, è composto solo da alcuni frammenti, che coinvolgono non solo la filosofia, ma anche la matematica, disciplina notoriamente di centrale importanza nel contesto pitagorico. Le fonti citate dalla Migliorati sono state Diogene Laerzio, la Suda, Aldobrandini e Porfirio. Inoltre la Migliorati ha fatto riferimento a due lettere di carattere morale. In queste lettere, scritte da donne ad altre donne, principalmente troviamo consigli e consolazioni. La prima è la “Lettera di Melissa all’amica Clearete” e la seconda “Lettera di Teano ad Euridice”.

L’intervento di Arianna Fermani, dal titolo Di maschi menomati, deviazioni naturali e altre storie. Aristotele e la questione femminile, ha attraversato i diversi “scenari” (biologico, etico, politico, giuridico) costruiti da Aristotele sulla donna, inserendo la riflessione all’interno del più generale contesto socio-culturale dell’epoca.

Infine, Stefania Salomoni, in Plotina, l’imperatrice filosofa, si è concentrata sulla figura dell’Imperatrice Pompea Plotina, seguace della filosofia epicurea, nata a Nemausus (Nimes) tra il 60 e il 70 d.C., moglie dell’imperatore di Roma Marco Ulpio Traiano (imperatore dal 98 al 117 d.C.). In questo intervento è stato evidenziato che Plotina conosceva il lessico filosofico epicureo e che ha influenzato e determinato l’andamento di alcune questioni interne alla scuola di Atene, come, ad esempio, la successione diadochistica degli scolarchi. A conferma di ciò, ci sono due iscrizioni composte da quattro frammenti di marmo pentelico appartenenti allo stesso pezzo, venuti alla luce nel 1890 e conservati al Museo Epigrafico di Atene. La prima iscrizione, databile nei primi mesi 121 d.C., è un documento bilingue formato da tre parti, nel quale troviamo una lettera in latino di Plotina a Adriano, la risposta di Adriano in latino e una lettera in greco di Plotina, inviata agli Epicurei di Atene. La seconda iscrizione è una lettera di Adriano scritta in greco quattro anni più tardi di quella di Plotina, precisamente nel 125 d.C., indirizzata agli Epicurei di Atene. Da tali iscrizioni emerge il fatto che Plotina si era immersa nello studio delle opere epicuree, tanto che le forme divennero sue, e che era capace di scrivere con facilità le particolarità dello stile che lo contraddistingueva. Da quanto emerge dai documenti confrontati, quindi, possiamo sostenere che l’imperatrice fosse epicurea.

 Maria Teresa Carini

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