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Futurità 9 - Il report

FUTURITÀ 9

Venerdì 21 e Sabato 22 Novembre si è svolta la nona edizione di Futurità, un’iniziativa in cui studenti al terzo anno di triennale in Filosofia, e studenti a entrambi gli anni di magistrale in Scienze filosofiche, aprono gli orizzonti al mondo professionale. Un’occasione rara in cui l’ascolto si intreccia al dialogo e professionisti di diversi ambiti mettono a disposizione le loro scelte, la loro esperienza, fornendo agli studenti la capacità di riflettere su quanto prezioso possa essere un approccio filosofico anche al di là del mondo accademico. Futurità permette agli studenti di prendere consapevolezza su come il pensiero critico continui a essere un inesauribile strumento, metodo, prospettiva valida per orientare il lavoro e la vita secondo una certa postura

Umana editoria. Creare vuol dire scegliere

L’intervento della prima mattinata è stato quello di Marco Baleani, redattore presso Quodlibet, realtà che pone le fondamenta nel territorio maceratese, grazie a Giorgio Agamben e alcuni suoi allievi. In origine, la casa editrice era specializzata in saggistica e filosofia; successivamente, il catalogo si è ampliato anche all’architettura, letteratura, critica letteraria e testi classici. Nata con l’intento di gettare uno sguardo critico sulla realtà attuale, essa si sviluppa con una forte identità all’interno dell’editoria. Marco ha mostrato grande sagacia e coerenza quanto fondamentale sia la scelta delle proposte da pubblicare, rimanendo fedeli all’idea originaria della casa editrice: rilevanza culturale; capacità dei contenuti di parlare al presente; interesse reale che questi possono suscitare al pubblico. La scrupolosa attenzione all’ascolto e la visione di insieme – competenze che Marco riconduce ai suoi studi filosofici – emergono come elemento essenziale del suo lavoro quotidiano. Il lavoro editoriale, come da lui descritto, è un processo collettivo e cooperativo, senza ruoli marginali ma anzi ognuno fondamentale per la realizzazione di un buon prodotto. Il suo impiego iniziale fu quello dell’impaginatore, ma scelse di dedicarsi anche alla cura degli archivi. L’aiuto collaborativo si manifesta anche nell’interscambio e internazionalità di alcuni ruoli, a seconda del progetto da realizzare e l’impronta che gli si vuole dare. Ogni libro nasce da “più mani e più menti”. Tra queste, ricordiamo le figure che più hanno catturato la nostra attenzione: l’editor e il correttore di bozze. L’editor è colui che come un ponte, suggerendo revisioni e miglioramenti, partecipa insieme all’autore e la casa editrice per la pubblicazione, adattando la proposta in un progetto coerente con il mercato, con i lettori e con la propria linea editoriale. Il curatore di bozze, invece, è colui che si occupa delle revisioni grammaticali e ortografiche, eliminando o plasmando possibili refusi, o alcune disattenzioni formali. Tra queste figure, nondimeno, sono lodevoli quelle del lettore interno, del curatore della prefazione o introduzione, disegnatore delle grafiche, curatore dei titoli.

La cooperazione comune costituisce l’intelaiatura invisibile ma intuibile che dà vita e contenuto ad un libro.

Un vivo dialogo. Sfide delleditoria contemporanea e le nuove tecnologie

Negli ultimi anni, l’editoria – anche indipendente come Quodlibet – ha dovuto fare i conti con la trasformazione dei canali di distribuzione: digitalizzazione dei contenuti, e-book, strategie comunicative online. Durante il dialogo sono emerse questioni più attuali, riguardanti soprattutto la relazione tra logiche di mercato, identità editoriale e nuove tecnologie. Un primo nodo trattava la questione degli influencer come autori e promotori di libri. Talvolta, ci ha rivelato Marco,  sono gli stessi editori a proporre libri da pubblicare, scrivendoli per loro. La domanda che ci siamo posti è:  come poteva collocarsi questo con la questione dell’identità e la coerenza di alcune case editrici? Per quali ragioni si fanno queste scelte? Sullo sfondo delle risposte, Marco ci ha guidato a riflettere su come l’editoria debba osservare e comprendere il mondo attuale. Le figure degli influencer sono fondamentali per ragioni di mercato, e questo spinge molte Case a collaborare con loro, pubblicando libri venduti in diverse copie. Tuttavia, con la tecnicizzazione del mondo, gli stessi editori potrebbero e dovrebbero sfruttare meglio l’onda mediatica dei social, anche al di là della sfera degli influencer. Alcune case editrici, ad esempio, non sponsorizzano le nuove pubblicazioni online, quando il web oramai è diventato un più che efficiente mezzo comunicativo, che riesce a coinvolgere diverse fasce di età. Il problema maggiore, comunque, non ha a che fare solo con la comunicazione. La domanda seguita poi da ulteriormente dibattito è stata: in che modo le nuove tecnologie – e in particolar modo l’intelligenza artificiale – stanno modificando e minando il terreno del lavoro editoriale? Sicuramente la figura più esposta a rischio in questo senso è il curatore di bozze, poiché infatti spesso si delega la parte di revisione formale e ortografica alle macchine, in modo da ottimizzare tempi e costi. Ma Marco sostiene che queste non potranno mai sostituirsi completamente all’umano. Curare le bozze richiede un’esigenza interpretativa: si lavora in stretto contesto con le altre figure, come l’editor, e conosce bene anche l’autore. Tutelarne la voce significherebbe tenere in considerazione anche lo stile che si conosce dell’autore, così da non correggere ciò che andrebbe corretto invece dall’AI. Occorre dunque una sensibilità contestuale che è propria dell’animo umano. Il dibattito ci ha messo ancora una volta dinanzi a una questione fondamentale: la tecnologia non va rifiutata, ma integrata consapevolmente. Da sempre la tecnica accompagna e si situa al fianco dell’umano, per coadiuvare il suo abitare il mondo. Il problema sorge quando questa tenta di sostituirsi ad esso, scambiando la logica dei limiti con quella dei confini. Perciò, la sfida contemporanea consiste nel difendere e rivendicare spazi umani come quelli del senso, la decisione, l’interpretazione e la cura . La tecnologia può supportare e semplificare, ma è l’umano che istituisce e garantisce l’imperfetta e irriducibile vitalità del libro.

Giornalismo. Limiti oggettivi e prospettive responsabili nell’etica dell’informazione

Il secondo intervento, nel pomeriggio della prima giornata, è stato di Alessandro Trevisani, giornalista di Rai 3 e volto delTGR Marche. Con grande empatia è entrato subito in dialogo con noi,  coinvolgendoci anche nel racconto della sua storia personale. Ciò che ci ha colpito di più è stato l’autenticità e la verità con cui ha descritto la sua professione senza idealizzarla. Il lavoro del giornalista richiede attenzione e disponibilità costanti, oltre che responsabilità e oggettività nel riportare fatti anche scomodi, che possono essere censurati o travisati. Il giornalista ha il compito non solo di riportare la notizia, ma anche di non snaturare la realtà o automatizzare le coscienze. Alessandro ha ricordato il lungo percorso che lo ha portato poi oggi a diventare un giornalista di professione. Un percorso che, come tutti, non sempre segue una linearità senza ostacoli. Ci ha raccontato in modo sommario dei viaggi, e di come perseveranza e resistenza si debbano dimostrare già dagli esordi, nei quali si ricevono quasi mai congratulazioni o incoraggiamenti. Dopo la laurea in Filosofia politica sul concetto di violenza in Arendt e Benjamin, conseguita all’Università di Macerata, non ha mai smesso di interrogarsi criticamente sul mondo che lo circonda, e proprio quell’occhio critico e scrupoloso lo ha condotto verso la sua attuale carriera. Oltre ad averci raccontato quel che sta dietro l’apparenza del giornalismo – minuziosa ricerca dietro ogni articolo e attenzione verso “la caccia alla notizia” che non ha orari – ha richiamato all’attenzione la sfera umana, la quale nessun giornalista dovrebbe dimenticare, specialmente quando ci si interfaccia con situazioni delicate come quelle che coinvolgono lutti o scomparse. Tante volte i giornalisti sono considerati “cinici”, “sciacalli”, “privi di empatia”, e sì, alcuni lo sono. A evitare una deriva fin troppo materialista, entra in gioco e fa la differenza un buon approccio filosofico attento all’umano, alla sua empatia e alla sua sensibilità. Alessandro ci ha raccontato di nuovo di come egli abbia fatto tesoro della sua formazione e di come si sia reso attento a capire i gesti e i segnali che si celano anche nel linguaggio del corpo. Un buon giornalista deve essere oggettivo, ma restituire autenticità, e deve saper far emergere questo aspetto anche riguardo alla persona che intervista o la storia che racconta. Tuttavia, senza nascondersi, ha sottolineato anche le difficoltà del mestiere del giornalista, anche sul piano politico: diverse testate sono controllate e si deve stare attenti a muoversi secondo un “politicamente corretto”. Alla luce di questo, allora, come si può trasmettere la verità? E soprattutto, dinanzi a figure governative che rifiutato di rilasciare interviste o testimonianze, come si agisce? Come può un giornalista rimanere coerente tanto con l’autenticità della realtà quanto con la propria? Alessandro, con ironia, ha risposto: «è più facile intervistare chi ti è nemico di chi ti è amico». Anche nel silenzio si può cogliere la verità. Spesso si nasconde qualcosa, per questo bisogna prestare grande attenzione al linguaggio e alla comunicazione verbale, così da svelare insidie e fallace retoriche che ci manipolano. Si possono trovare modi e strategie nel linguaggio che parlino anche celatamente della verità autentica. Ancora una volta, la postura filosofica risulta determinante nei crinali dell’ambito della comunicazione. Un’ultima preziosa riflessione riguardava la ricerca della verità in una società nella quale conta più l’intrattenimento dell’informazione. Bisogna saper giocare con la comunicazione. Se nella stessa pagina, per esempio, compaiono entrambe le notizie degli arresti di componenti della Global Sumud Flotilla insieme alla vittoria dell’Italia ai Mondiali, è naturale che l’attenzione ricada sull’ultima, anche se con una sola immagine. Proprio lì il giornalista può intervenire, affiancando un titolo o un richiamo alla seconda vicenda rimasta ignorata, invitando anche indirettamente il lettore ad informarsi sugli accaduti che sarebbero altrimenti stati ignorati.

Pensare la comunità. La filosofia nella costruzione e la tutela del benessere

L’ultimo intervento, svoltosi nella mattinata di Sabato, è stato quello di Francesca Rogari, progettista sociale per la cooperativa COOSS Marche. La relatrice è intervenuta chiarendoci cosa fossero i servizi sociali e alla persona e quale ruolo svolgessero nel territorio: realtà cooperative che si impegnano nei servizi educativi, sanitari e d’assistenza nella promozione del benessere nelle realtà locali. Queste associazioni dimostrano attenzione nel mettersi all’ascolto di quelle che sono altre realtà umane, precisamente nei confronti di chi più ha bisogno di cura e apertura, per partecipare insieme di fragilità e disagi. Gestiscono centri diurni e comunità che assistono persone affette da disabilità; offrono servizi di doposcuola  e case-famiglia, mostrando grandi riguardi nei giovani, specialmente i minori. In questa sfera, anche servizi sociali e centri di informazione o assistenza nella professione. Tanta attenzione è data agli anziani, i quali ricevono cure e servizi, anche a domicilio, e per i quali si istituiscono anche case di riposo. Significativo è l’aiuto dato alle donne, mettendo a loro  disposizione centri di ascolto che prevengano la violenza e riflettano criticamente sugli effetti del patriarcato. Vi è riguardo anche per l’accoglienza di migranti, come altresì centri adibiti alla cura e il sostegno di persone con dipendenze di ogni genere, dalle sostanze alla ludopatia. Per introdurre il tema del welfare di comunità, la Rogari ha proposto un piccolo quiz interattivo, che ci ha permesso di acquisire consapevolezza della rilevanza e del valore di questo sistema in ambito sociale. Non si tratta, infatti, di soli servizi finalizzati al benessere individuale. Si realizza, attorno a queste cooperative, una vera e propria idea di comunità, legata ad una precisa visione antropologica. Fondamentale, perciò, è la collaborazione tra cittadini, istituzioni, imprese e reti anche informali del territorio. Una comunità, in quanto tale, ha ruolo attivo nell’esporre e mettere in analisi i propri problemi, cercando quindi delle soluzioni possibili che diano vita a nuovi progetti da realizzare, insieme. In chiusura dell’intervento, Francesca ci ha illustrato tutte le competenze di cui ha usufruito nel suo percorso professionale, sottolineando il viscerale legame con la sua carriera universitaria. Tra queste spiccano: 1. Lo sguardo d’insieme, fondamentale per non avere derive individualiste, opposte all’idea di comunità e disfunzionali per la stessa. Per lavorarle nel sistema sociale, appunto, occorre apertura, ascolto, dono dell’altro. La saggezza pratica le è stata utile per applicare e analizzare regole generali in situazioni particolari, mostrando come ogni singola situazione meriti riguardo ed empatia, e come alcun problema sia marginale o secondario. 2. La capacità comunicativa e l’attenzione all’argomentazione, fondamentali nella presentazione di un progetto e nella convinzione nella realizzazione. Oltre al racconto della sua esperienza, Francesca, ci ha invitato a fare lo stesso, cioè a interrogarci su quali siano le nostre competenze fondamentali e come possano essere ben offerte per il nostro futuro. Ci ha lasciato una lista di competenze generale, nella speranza di averne potuto discutere ulteriormente inter nos, così da approfondire il discorso con la sezione conclusiva del gruppo ConsiderAzioni.

ConsiderAzione. Pensare è agire

Dopo gli interventi di ciascun relatore, il gruppo ConsiderAzioni ci ha proposto momenti di intensa condivisione e creatività grazie al gruppo di ConsiderAzioni. Momenti, questi, che hanno contribuito a rendere l’atmosfera di Futurità ancor più viva e ancor più unita. Dopo un esercizio iniziale di presentazione, pensato per un’apertura iniziale, le attività successive sono state più pratiche e guidate dall’equilibrio tra leggerezza e profondità, coinvolgendo corpo e mente, all’insegna del riecheggio platonico del «dialogo come gioco serio». Nel corso della prima giornata, ci è stato chiesto di realizzare, a partire da ritagli di giornale, un elaborato che esprimesse una riflessione sull’etica dell’informazione. Divisi in due gruppi, abbiamo dato vita a prodotti estremamente diversi ma accomunati da una forte incisività. Un gruppo, ha realizzato uno storytelling visivo, narrando un racconto iconografico che metteva al centro della questione le fragilità legate ai ruoli di genere e alla condizione femminile nel mondo del lavoro. Attraverso una storia archetipica, si è voluti denunciare la precarietà, la mancata tutela dei diritti – in particolare sulla maternità – e la distanza che spesso separa le politiche di inclusione dichiarate da quelle reali.

L’altro gruppo, invece, ha scelto di realizzare un giornale da leggere a spirale, capace di donare una percezione alterata delle notizie a cui siamo quotidianamente esposti. Dietro le ingiustizie alimentate dal tecno-capitalismo, si è predisposto un bricolage di titoli che esprimessero concetti opposti a quelli da cui erano stati estrapolati. Resistenza e disobbedienza, immaginazione e realizzazione, per una nuova forma di vita.

Nell’incontro conclusivo, l’attenzione si è concentrata sull’analisi delle competenze filosofiche da poter mettere in gioco nel mondo del lavoro. Siamo stati invitati a riflettere su quali abilità sentiamo già come nostre e quali, invece, desideriamo affinare. Ricordiamo tra queste: saggezza pratica, capacità ermeneutica, attenzione all’etica della cura e della persona, sensibilità politica e giustizia sociale senza esclusioni e margini. Su un altro foglio, invece, abbiamo lasciato una parola su ciò che desideriamo abbandonare dopo quest’esperienza trasformativa. Le risposte sono state sorprendentemente convergenti: lasciare il timore del futuro, la paura dell’incertezza, la sfiducia verso il mondo del lavoro. Accanto a queste, sono emerse riflessioni intime, testimonianze personali che ancora una volta rivelano come Futurità sia un evento prezioso non solo per la nostra formazione, ma anche per la crescita personale. Insomma, se «il passato non è mai veramente passato», il futuro non aspetta altro di essere raggiunto!

Giorgia CARINELLI - Mario PEROTTI

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