Arianna FERMANI, PREMIO Nazionale di Filosofia
La giuria dell’edizione 2020 del Premio Nazionale di Filosofia – Le figure del pensiero, istituito nel 2007 dall’Associazione Nazionale Pratiche Filosofiche, ha premiato la monografia della Professoressa Arianna Fermani, Aristotele e l’infinità del male. Patimenti, vizi e debolezze degli esseri umani, Morcelliana, Brescia 2019, nella sezione “Saggio filosofico edito”.
Di seguito si riporta la presentazione del volume pubblicata nella nostra newsletter.
Questo saggio, che costituisce un tentativo di fornire un piccolo contributo a «penetrare il mistero che forse più di ogni altro tiene svegli di notte i filosofi, cioè il mistero dell’unde malum (“da dove viene il male?”)», contiene, nel titolo, una evidente allusione alla fondamentale opera di Hannah Arendt: La banalità del male. Perché se è vero che «il male è qualcosa di inevitabile (κακόν τι ἀναγκαῖον)», come ricorda Aristotele nelle Confutazioni Sofistiche, d’altro canto si deve dire che esso è anche -e soprattutto- “infinito”. E non solo perché, come afferma sempre il Filosofo, «un essere umano malvagio potrebbe fare infinitamente più male di una bestia» (Etica NicomacheaVII, 6, 1150 a 7-8), ma anche per la ragione più specifica che «si può sbagliare in molti modi (infatti il male ha la caratteristica dell’illimitato, come avevano intuìto i Pitagorici)» (Etica Nicomachea II, 6, 1106 b 28-30).
Ma forse la prima cosa che viene in mente, quando si pensa al “male”, è che «di un argomento così nessuno si occupa quasi più. Ci si occupa sempre dei ‘beni’ (possibilmente economici) e dei ‘mali’ (possibilmente di salute). Eppure, bene e male - come parole assolute - sono forse le parole più note tra gli esseri umani» (C. Vigna, Bene e Male, in C. Vigna-S. Zanardo, Etica di frontiera. Nuove forme del bene e del male, Vita e Pensiero, Milano 2008, pp. 61-83, p. 61). D’altra parte il male è ciò che ci caratterizza costitutivamente, in quanto esseri umani: «il male non è un'aggiunta accidentale alla storia dell'umanità, di cui ci si potrebbe sbarazzare facilmente: esso è legato alla nostra stessa identità; per eliminarlo bisognerebbe cambiare specie» (T. Todorov, Mémoire du mal, Tentation du bien, Editions Robert Laffont, Paris 2000; trad. it. R. Rossi, Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001, p. 340).
Il male, però - e con esso (fosse solo implicitamente) anche il bene - visto che «si tratta di due parole che possono essere capite solo se sono tenute insieme» («Divise l’una dall’altra, perdono la forza originaria che le caratterizza» (Vigna, Bene e Male…, p. 61) - necessita di essere in molti modi ripensato. E di essere ripensato proprio a partire dai Greci e dal modo in cui essi hanno percepito, vissuto e chiamato il male in tutte le sue articolazioni e in tutte le sue variabili. Peraltro, sebbene tale tema sia diventato un tema “specifico” d’indagine solo a partire dalla tarda antichità, esso può essere considerato indubbiamente e a pieno titolo un tema filosofico “classico”.
INDICE
Premessa
Ringraziamenti
Introduzione
Prima parte: Grammatica del male
Primo capitolo: Il male morale e le sue articolazioni
Secondo capitolo: I nomi del male morale
Seconda parte: Forme del “male patito”
Primo capitolo: Il male di cui non si è chiamati a rispondere: il “male patito”, tra sorte e involontarietà
Secondo capitolo: L’inevitabilità del male che capita: il dolore e i suoi profili
Terzo capitolo: Passioni cattive che fanno male
Terza parte: Forme del “male compiuto”
Primo capitolo: “Essere privi di spina dorsale”: la debolezza e le sue articolazioni
Secondo capitolo: Quando l’anima “viene fatta a pezzi”: l’incontinenza tra piacere, dolore e pentimento
Terzo capitolo: Che vuol dire “sbagliare”? Il male compiuto, tra errore e falsità
Quarto capitolo: Il male morale alla massima potenza: il vizio
Quinto capitolo: Il male che fa orrore: violenze, crimini, omicidi
Conclusioni
Glossario
Bibliografia
Appendice