La ricerca e le nuove procedure di valutazione
di Francesco Orilia*
L’Anvur ha da poco resi noti i criteri che verranno utilizzati nelle diverse aree disciplinari, stilati dai relativi Gev, per la valutazione dei prodotti scientifici inviati da università ed enti di ricerca in risposta al bando Vqr 2004-2010. Ciascun prodotto verrà assegnato sulla base di questi criteri ad una tra quattro possibili classi di merito. Si tratta di una questione molto delicata, perché queste valutazioni influiranno significativamente sulla parte premiale dell’Ffo assegnato alle singole università.
Ci sono elementi comuni a tutte le aree, in particolare l’uso della peer review o della informed peer review per prodotti diversi da articolo su rivista, in particolare monografie e articoli su libro. Per quanto riguarda gli articoli su riviste, si assiste, come previsto, ad una marcata differenza tra le aree scientifiche (1-9), dove prevale il ricorso alla valutazione bibliometrica, basata sull’impact factor della rivista, sul numero delle citazioni ricevute et similia, e quelle umanistiche (10-14), dove prevale il ricorso alla (informed) peer review se non nell’area economico-statistica e, in casi particolari quali, in area 11, il settore psicologico e quello delle scienze motorie afferenti all’area pedagogica. Il motivo principale invocato per questa diversità è la mancanza di banche dati affidabili per calcolare gli indicatori bibliometrici e di un consenso ampio e consolidato sull’importanza da attribuire alle singole riviste.
Tuttavia, anche nei settori umanistici che non ricorrono a criteri bibliometrici si riconosce, in modo più o meno spiccato, l’esigenza di avvalersi anche, sebbene non esclusivamente, fin da adesso o almeno in futuro, di criteri più “oggettivi” almeno in parte analoghi a quelli utilizzati ormai da tempo nelle aree scientifiche. L’area 10 appare particolarmente prudente da questo punto di vista: si è deciso di ricorrere ad una valutazione basata su peer review, che non deve tener conto di quale sia la sede di pubblicazione. Ci sono, per questo, comprensibili motivi legati alle sue specificità. Per esempio, l’uso dell’inglese promette maggiore impact factor, ma in certi settori di quest’area difficilmente può ambire al ruolo privilegiato che ha nelle aree 1-10 (basti pensare all’italianistica). Tuttavia, anche nell’area 10 si riconosce “l’opportunità di partecipare alla costruzione di un percorso verso la creazione di una classificazione per le riviste e l’adozione delle migliori pratiche internazionali per le monografie”. Tra le aree in cui l’esigenza di criteri più “oggettivi” appare più marcato troviamo l’area 11, dove è già stata stilata una classificazione delle riviste (A, B, C) e se ne tiene conto fin da adesso nella informed peer review. Per esempio, mentre di norma ciascun articolo su rivista viene valutato da due revisori, gli articoli pubblicati in una rivista, collocata in fascia A, saranno giudicati da un solo revisore, “per tener conto del fatto che essi sono già passati attraverso filtri molto rigorosi e premiare, seguendo l’orientamento generale, lo sforzo di internazionalizzazione”.
Credo che si possa essere d’accordo sull’opportunità di seguire questo tracciato, che cerca di bilanciare due fattori: da un lato sarebbe ingiusto disconoscere a priori il valore di prodotti che hanno visto la luce in sedi non particolarmente prestigiose o che non hanno passato il vaglio di revisori anonimi prima dell’eventuale pubblicazione; d’altra parte, non si può non tener conto del fatto che un prodotto ha già superato un difficile percorso di valutazione.
L’attività di ricerca in campo umanistico nella nostra Università ha grandi risorse ed è certamente in grado di raccogliere gli stimoli provenienti da queste tendenze in campo valutativo per proporsi con sempre maggiore visibilità a livello internazionale.
*Delegato del Rettore per la ricerca scientifica e i processi di valutazione, Università di Macerata